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di Vittorio De Sica, con Florinda Bolkan, Renato Salvatori, Daniel Quenaud, José Maria Prada, Adriana Asti, Monica Guerritore, Christian De Sica
(Italia, 1973)
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Quasi tutti gli ultimi film di De Sica sono marcati dalla malattia, il mondo dei malati, la morte. Dei temi che l'esperienza personale del regista aveva prima presentito, poi sperimentato. E l'avvio del film sembra prometterci uno di quegli squarci di illuminazione, di misura espressiva, di sensibilità che non significhi sentimentalismo che il suo cinema abbia saputo darci. La malattia, la presenza latente della morte, sono bene espresse nella visione dell'esperienza quotidiana dell'operaia: lo squallore familiare, la periferia lombarda sporca di nebbia, il treno dei pendolari, le poche, concise annotazioni su un mondo già morto, come quel fiume schiumoso di veleni intravisto dal treno, l'arrivo nella fabbrica. Il tutto condotto con un uso soprattutto sapiente dei suoni, che diventano addirittura ossessionanti nell'agghiacciante ambiente del lavoro. Il controllo del mezzo da parte di De Sica non dura più di tanto, un breve istante che ci permette di sperare in un secondo miracolo, dopo quello del GIARDINO DEI FINZI CONTINI. Poi, il fumetto regna sovrano, piombiamo in pieno Bolero Film. Non una replica, un'immagine, un carattere che riesca a liberarsi da uno schematismo avvilente, da un conformismo espressivo, una impotenza totale nel raggiungere sia un minimo di realismo credibile, sia una dimensione fantastica che evochi qualcosa di più dell'universo depresso di un autore di romanzi rosa. Una approssimazione psicologica, una povertà creativa davvero incredibili per un uomo che ha scritto pagine di cinema autentico.
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Il film in Internet (Google)
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Per informazioni o commenti:
info@films*TOGLIEREQUESTO*elezione.ch
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capolavoro
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da vedere eventualmente
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